Oggi sono intervenuto al Comitato delle Regioni sul tema dell’a migrazione. Un contesto che, a differenza di tanti altri, ha piena consapevolezza delle sfide e delle opportunità che questo fenomeno genera. Sono infatti gli enti regionali e locali i primi ad essere direttamente interessati da una politica d’immigrazione comune: sia per quello che riguarda la prima accoglienza ma anche per tutta quella serie di servizi fondamentali per il processo di integrazione locale.
Appuntamenti come quello di oggi non fanno che rafforzare il legame, almeno in casa socialista, per la gestione comune del fenomeno migratorio che sia basato su quelli che sono i principi che ci accomunano, la solidarietà, l’umanità, la condivisionedelle responsabilità.
Ho parlato anche della situazione che conosco più da vicino. Lampedusa non è l’Isola invasa dai migranti, l’isola al collasso, dove le attività economiche sono chiuse a seguito dell’emergenza, dove non si parla di altro che di migranti, come qualcuno vuole dipingerla.
Lampedusa sta vivendo un’altra bella e florida stagione estiva – e i turisti che vengono alla ricerca dei migranti partono delusi, perché di migranti non ce ne sono nel corso principale di Lampedusa. Ma non ci
sono neanche nelle strade secondarie perché sono reclusi nel centro di accoglienza – o piuttosto di detenzione -. Dal quale appunto non possono uscire.
Ora, per dovere di cronaca bisogna dire che il centro di accoglienza, concepito per ospitare 400 persone si trovava a gestire nelle ultime settimane oltre 2000 persone. Con tutti i disagi che questo provoca
ma non sulla popolazione locale quanto soprattutto sui migranti stessi, costretti a vivere in condizioni inumane dopo aver attraversato il Mediterraneo. Con tutto il bagaglio di violenza che si portano alle
spalle. Allora di chi e la responsabilità? Non certo di chi arriva, né tantomeno di chi li salva. È di qualche giorno fa l’attacco in commissione LIBE delle forze di centro destra diretto a Medici Senza Frontiere. Il ritornello è sempre lo stesso: si criminalizzano le ONG che prestano aiuto umanitario additadole come elemento di pull factor.
Perché il governo italiano non provvede al rapido trasferimento di coloro che arrivano a Lampedusa? Perché aspettare l’arrivo del barcone successivo prima di ricollocare sul territorio italiano chi è
arrivato in precedenza? Queste sono politiche che intenzionalmente creano disinformazione. Che colpevolizzano i migranti. Che non contribuiscono alla coesione sociale. Che alimentano le disuguaglianze. E noi co-legislatori che responsabilità abbiamo? Sicuramente soffriamo dei risultati elettorali che in questi ultimi anni hanno favorito partiti di destra. Da ultimo la Grecia, malgrado gli episodi di violenza di cui si sono resi responsabili le autorità greche nei confronti dei migranti. E ancora, l’Italia e la Svezia. Paesi che hanno consolidato le loro alleanze nell’intento comune di respingere i flussi migratori.
E questa minoranza di blocco sicuramente influenzerà negativamente il processo legislativo in corso sul Patto sulle migrazioni. Il Parlamento si è espresso con una posizione che non è ottimale ma che comunque fa un passo avanti rispetto alla legislazione esistente. Abbiamo modificato il regolamento di Dublino e pertanto modificato i criteri per la determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale inserendo la regola generale per la quale lo Stato membro responsabile per l’esame della domanda è lo Stato con cui il richiedente ha legami significativi.
Abbiamo inoltre previsto un meccanismo di solidarietà obbligatorio in caso di pressione migratoria con una quota di ricollocazione di beneficiari e richiedenti asilo pari all’80 per cento.
Abbiamo cancellato i rimpatri sponsorizzati e ridotto le misure di cooperazione con i paesi terzi. Poi, se mi doveste fare la domanda, ma il nuovo regolamento di Dublino o RAMM riuscirà a colmare le lacune dell’attuale sistema e riuscirà a mettere in piedi da solo una politica europea basata su solidarietà e piena condivisione delle responsabilità? La mia risposta è no. Da solo, nessuno strumento sarà in grado di gestire questo fenomeno.
Eppure basterebbe aprirle queste frontiere, basterebbe investire in politiche di gestione delle migrazioni non solo dettate da spirito umanitario ma anche da considerazioni economiche.
Dobbiamo prendere atto che i migranti svolgono un ruolo cruciale nell’economia e nelle società europee e possono anche diventare agenti di sviluppo quando saranno messe in atto politiche adeguate.
Sì, perché senza misure adeguate di accoglienza e integrazione queste persone saranno destinate a rimanere nell’ombra con tutte le conseguenze negative che questa mancanza di riconoscimento
comporta.

Io non mi stancherò mai di dirlo: queste persone sono una risorsa su cui investire e non dei numeri da cui proteggersi. Ad oggi sono sbarcati in Italia poco meno di 50 mila persone. È vero, sono tanti per Lampedusa, sono abbastanza per l’Italia, ma per l’Europa in quanto unione sono forse numeri da invasione?
Perché chiudiamo le porte a 50 mila persone che se distribuite nei 27 paesi membri rappresentano davvero delle cifre irrisorie e le spalanchiamo agli oltre 5 milioni di ucraini che si sono registrati in
Europa dall’inizio della guerra di invasione russa? L’attenzione che l’UE ha dedicato ai rifugiati ucraini è stata esemplare ed è stata unica nel suo genere. Ed è questa l’Europa che vogliamo. Non possiamo e non dobbiamo offrire il fianco agli egoismi degli Stati membri.
Io credo davvero che la politica migratoria debba essere basata sul rispetto del principio di solidarietà. Non solo fra gli Stati ma soprattutto nei confronti di queste persone. Una politica che metta al centro la persona e i suoi diritti e che definisca in modo chiaro le responsabilità degli Stati membri nella gestione delle migrazioni. Questo deve fare la politica: dare risposte concrete a problemi e non acuirli.

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